Al capitolo Its il Recovery Fund, ha spiegato Draghi, riserva un finanziamento importante, 1,5 miliardi di euro, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia.
Quella annunciata da Draghi nel suo discorso è una rivoluzione copernicana. Grazie a improvvide riforme la scuola che avrebbe dovuto preparare al lavoro, a specializzarsi senza per questo sentirsi “minore” in un Paese dominato dalla retorica dei licei (ma, ormai, nei fatti, anche loro non stanno più tanto bene), a dare competenze precise, è stata trasformata in alcuni contesti, i più difficili del Paese, e ce ne sono tanti, in un parcheggio, con tutto il rispetto per chi ci lavora sfidando l’impossibile.
“E’ necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni. In questa prospettiva particolare attenzione va riservata agli Istituti tecnici. In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. E’ stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma nazionale di ripresa e resilienza assegna 1,5 miliardi agli Istituti tecnici, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate”, ha sottolineato Draghi. Non sfuggirà al premier, per formazione, come i tecnici siano stati fino a cinquant’anni fa scuole d’eccellenza sotto la gestione dei gesuiti. E in molti contesti, dove la tradizione è forte, hanno continuato a restare tali per la perseveranza di presidi cocciuti e capaci.
Vediamo cosa trovano il ministro Bianchi e il premier Draghi. In seguito alla riforma che “la scuola attendeva da ottant’anni” (parole dell’allora ministra al Miur Mariastella Gelmini, oggi agli Affari regionali), più o meno dodici anni fa fu “razionalizzata” l’offerta formativa di tutte le scuole superiori. Per portare le ore settimanali a pareggiare quelle dei licei, nei tecnici furono sacrificate le materie di indirizzo. I ragionieri, per esempio, ebbero in premio meno matematica, meno economia aziendale e lingua straniera. I tecnici per il turismo ebbero una pesante riduzione delle ore di inglese, francese, tedesco e spagnolo, ma anche delle discipline turistiche aziendali (diritto e legislazione turistica, arte e territorio): come si dice, prevedere il futuro, in un contesto europeo dove già dopo la scuola secondaria di primo grado i ragazzi, dalla Lituania alla Bosnia, parlano quasi perfettamente tre lingue straniere. Veggenza che non ha risparmiato per i Programmatori e i Geometri la riduzione delle ore di informatica, ma anche quelle di topografia, di costruzioni e di estimo. Così come gli alberghieri ebbero un taglio del 40% delle ore di attività pratiche, gli odontotecnici si trovarono con meno ore di laboratorio e il taglio non risparmiò elettronica ed elettrotecnica.
Tralasciamo la geremiade sui licei, anch’essi abbastanza ridimensionati nelle materie chiave, con il risultato che oggi Draghi e Bianchi non hanno più a che fare con i licei e i tecnici di una volta, che, invece, tanto hanno dato alla ricostruzione del Paese, salvo eccezioni. Ridotti in tutto, in omaggio all’obiettivo di far risparmiare allo Stato 8 miliardi in tre anni e tagliare oltre 80mila cattedre e 44.500 posti di personale non docente e creare, alle superiori, le cosiddette classi pollaio, con non meno di 27 alunni (non proprio un aiuto per ragazzi e docenti, uno dei primi problemi che il ministro Bianchi dovrà affrontare per dare credibilità al progetto Draghi). Poi tanta retorica sull’alternanza scuola-lavoro, prove Invalsi, merito e graduatorie Ocse-Pisa.
Tutto ciò detto, gli istituti tecnici propongono un numero di indirizzi, collegati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese. Nel settore economico ci sono 2 indirizzi: Amministrazione, Finanza e Marketing; Turismo. Nel settore tecnologico 9 indirizzi: Meccanica, Meccatronica ed Energia; Trasporti e Logistica; Elettronica ed Elettrotecnica; Informatica e Telecomunicazioni; Grafica e Comunicazione; Chimica, Materiali e Biotecnologie; Sistema Moda; Agraria, Agroalimentare e Agroindustria; Costruzioni, Ambiente e Territorio. Ogni percorso ha una durata di 5 anni suddivisi in due bienni e un quinto anno. Al termine del percorso quinquennale gli studenti sostengono l’esame di Stato e conseguono il diploma di istruzione secondaria di secondo grado. Le scuole possono personalizzare i percorsi di studio utilizzando la quota di autonomia del 20% dell’orario complessivo. Dai dati sulle iscrizioni, a gennaio risultava che un terzo delle scelte è ancora per i gli Istituti tecnici che, sostanzialmente, tengono. Li sceglie il 30,3% delle studentesse e degli studenti (il 30,8% un anno fa). Il settore Economico scende al 10% dall′11,2%, cresce il Tecnologico, dal 19,6% al 20,3%. Gli Istituti professionali segnano un calo dal 12,9% all′11,9% delle scelte.
Resistenza e resilienza, come si dice oggi, della scuola che riesce ad esorcizzare nemici e riformatori un po’ troppo visionari. Conservando eccellenze, malgrado tutto, come gli Istituti tecnici Superiori. Come abbiamo documentato attraverso la collaborazione con Skuola.net con gli Its 8 ragazzi su 10 trovano lavoro. Nella scorsa primavera la ministra Azzolina diede 33 milioni al Fondo per il potenziamento del sistema ITS, ma siamo certi che ora, come opzione strategica del governo, ne arriveranno molti di più. Un’alternativa solida post diploma all’università. “Secondo l’ultimo monitoraggio – elaborato da INDIRE e aggiornato a maggio 2020 – a dodici mesi dal titolo l′83% dei diplomati ha un lavoro, quasi sempre in un’area coerente con il percorso svolto – si legge nel documento di Skuola.net-. È il dato più alto dal 2015 a oggi, nonostante nel frattempo sia decisamente aumentato il numero di iscritti ai vari corsi. Inoltre, oltre la metà sono occupati ‘stabili’: più di 3 su 10 sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato o lavorano da autonomi in regime ordinario; il 27,5% è in apprendistato; mentre 4 su 10 hanno un contratto a tempo determinato o lavorano da autonomi in regime agevolato. Giusto per fare un raffronto col mondo accademico, secondo il rapporto Alma Laurea 2019, il tasso di occupazione delle varie tipologie di lauree (primo livello, secondo livello, ciclo unico) dopo un anno si ferma intorno al 70%. Per quanto riguarda le aree con le performance migliori, a spiccare sono i diplomi afferenti alle “Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali – Turismo” (86,4%). Ottimi risultati anche per la “Mobilità sostenibile” (83,6%). Seguono le “Nuove tecnologie per il Made in Italy” (83,4%), segmento articolato in un ulteriori cinque specializzazioni (Moda, Casa, Meccanica, Agro-Alimentare, Servizi alle imprese) e che da solo assorbe quasi la metà dei 104 ITS censiti; con il Sistema meccanica che supera il 92% di occupati”.
“Gli Istituti Tecnici superiori, a dieci anni dalla loro creazione, si confermano quindi in grado di far fronte alla domanda di nuove professionalità e competenze che proviene dal mondo del lavoro e di essere capaci di operare in sinergia con i sistemi produttivi territoriali – prosegue il rapporto di Skuola.net-. Perché il legame col tessuto industriale italiano è uno dei punti di forza del Sistema: il 43,1% dei partner soci delle 84 Fondazioni ITS con percorsi monitorati è costituito da imprese e associazioni di imprese. E le aziende coinvolte nelle attività di stage sono state il 90,6% su un totale di 3.672 sedi di stage. A livello regionale, è la Lombardia quella che registra il maggior numero di Istituti (20); molto più omogenea la distribuzione nel resto del Paese, con le altre regioni che non arrivano alla doppia cifra ma hanno tutte almeno un ITS (uniche eccezioni la Valle d’Aosta e le province autonome di Bolzano e Trento). Il legame con le aziende e le realtà economiche non è solo di facciata: infatti i corsi di studio offerti dagli ITS devono prevedere una divisione pressoché identica tra ore svolte in aula e ore impiegate in tirocini curricolari. Come se non bastasse, anche i docenti e i contenuti dell’offerta ITS devono essere sottoposti ad un certo travaso dal mondo del lavoro. Insomma i prof che si trovano agli ITS spesso sono professionisti che lavorano nel settore per il quale si prestano alle docenze. Questo rende gli studenti degli ITS molto appetibili sul mercato del lavoro, sia per le aziende presso le quali hanno svolto il tirocinio sia per le altre della stessa filiera.
Insomma, una base, piccola ma solida, c’è
(fonte Huffington Post)